Rinasce il Talia
Fino agli anni '50 del Novecento fra le perle di Gualdo Tadino si distingueva l'ottocentesco Teatro Talia, che per lunghi anni ha corrisposto alle esigenze culturali del territorio.
L'idea di un teatro nasce da lontano poiché la città ha un'attività teatrale documentata fin dalla metà del secolo XVI, quando alcuni Gioveni di questa Patria amatori di vertù spesso chiedono al Comune varie forme di intervento a sostegno delle proprie recite effettuate in impianti scenici provvisori, probabilmente allestiti in chiesa, sul sagrato o sulla piazza principale.
La scoperta del melodramma, forma di spettacolo che incrementa la frequenza nelle sale teatrali sviluppate in verticale con palchi sovrapposti e con un uditorio dall'ormai consueta (1618) pianta a “U”, favorisce la diffusione del teatro barocco all'italiana con la struttura “ad alveare”, che dalla seconda metà del Seicento si divulga ovunque.
Tale orientamento contagia i Filodrammatici gualdesi che sollecitano le istituzioni a dotare la città di uno spazio culturale dalle caratteristiche tipiche di un “luogo teatrale”.
Per le insistenti richieste, nel settimo decennio del Seicento ottengono due ambienti contigui posti a piano terreno dell'ex convento di San Francesco, detti la bicchieraja e il granaro, che uniscono per formare un ampio locale da adibire a teatro, oggi riconducibile nella Taverna di Porta San Benedetto.
Al tempo stesso vi costruiscono “un palco scenico, di rispetto al quale” realizzano anche un “palchettone” ligneo con l'idea di razionalizzare al massimo lo spazio a disposizione.
Tale struttura rimane inalterata fino all'ultimo decennio del Settecento, quando la magistratura ne palesa l'inadeguatezza rispetto alle mutate esigenze sceniche e manifesta che anche dal punto di vista estetico non identifica più i gusti di un'epoca ormai conquistata dagli ideali neoclassici.
Dopo un decennio di confronti, la neo costituita “Accademia del Teatro” presenta il progetto per la fondazione di un teatro privato ad uso pubblico sul gusto delle città limitrofe: Francesco Ignazio Mattioli assume l'incarico di raccogliere le sottoscrizioni di un certo numero di cittadini per sostenere la spesa per erigerne uno di media e proporzionata grandezza, rapportato alla popolazione di Gualdo.
Il primo gennaio 1805 inizia la fase di raccolta delle adesioni “per carato dei primari individui della città”: il 10 marzo sono sottoscritte 34 quote di caratanti che divengono possessori in perpetuo di 38 palchetti (4 restano di proprietà dell'Accademia) disposti nei tre ordini.
Il progetto si richiama a quella che è divenuta una vera e propria maniera di erigere i teatri, dai quali riprende le caratteristiche formali e funzionali, sia nel settore riservato all'accoglienza del pubblico, che in quello dedicato allo spettacolo, adattandolo solamente alle dimensioni e ai limiti della committenza locale.
Nell'autunno del 1805 prendono avvio i lavori di costruzione dell'edificio, inaugurato il 24 aprile 1808 con la compagnia del capocomico Leopoldo Gatteschi di Gubbio.
Nel 1835-1840 è soggetto ai primi restauri per lo stato indecoroso in cui versa a causa dei danni prodotti dalle infiltrazioni di acqua che procurano in parte il distacco della pittura del soffitto, ma anche per lo stato in cui è ridotta la decorazione della sala teatrale a causa del tempo e del fumo delle lumiere ad olio. E' il periodo in cui i “Dilettanti Filodrammatici di Gualdo Tadino rappresentano nel teatro Talia diverse comiche rappresentanze durante il corso della primavera”.
La rinnovata struttura conserva piena efficienza per un altro mezzo secolo, fino a quando non subisce il degrado dell'uso, oltre al fisiologico invecchiamento dovuto al mutato orientamento dei gusti.
Perduta la documentazione relativa alla progettazione e alla costruzione, l'identificazione delle caratteristiche del Teatro Talia resta affidata alla sola testimonianza di un disegno coevo conservato presso l'Archivio Storico Comunale di Gualdo Tadino, che rappresenta il suo interno visto dal palcoscenico, senza alcuna poltroncina nella platea destinata agli spettatori (i primi anni rimanevano in piedi o si portavano la sedia).
Si tratta di un acquerellato sufficientemente preciso, dal quale si desumono la pianta ad “U” della sala teatrale e tre ordini di palchi disposti lungo le pareti laterali della sala verso il proscenio: 12 palchetti nel primo ordine, 13 nel secondo, con quello centrale di proprietà della magistratura civica, altrettanti nel terzo, poi divenuti 12 quando il teatro è stato adattato anche a sala cinematografica.
Il Teatro Talia dispone anche di camerini attestati da un rogito notarile che lo descrive “composto di piani 4 e vani 42”.
La vita artistica del teatro è legata a numerosissime compagnie provenienti da ogni parte del Paese, a spettacoli teatrali, comici e drammatici, concerti musicali e vocali, accademie di poesia, varietà, tombole e feste da ballo, ma anche a iniziative di vita cittadina nei suoi momenti più significativi in rapporto ai tempi.
Benché la sua decadenza inizi nel primo Novecento, mantiene inalterata la sua funzione di salotto in quanto continua ad ospitare manifestazioni sociali fino alla seconda guerra mondiale.
Dopo un novennio di conduzione dei coniugi Ardan-Pieri, la gestione condominiale si chiude nel marzo 1943 nel momento in cui l'Accademia del Teatro determina di cedere la proprietà ai fratelli Gino ed Orfeo Pagliari per l'inderogabile necessità di intervenire sulla struttura a garanzia dell'efficienza e della sicurezza.
Memorabile resta l'iniziativa dell'8 febbraio 1951 quando, per il cinquantenario della morte di Giuseppe Verdi, il Teatro Talia è testimone di quattro rappresentazioni liriche: Rigoletto, Lucia di Lemmermour, Barbiere di Siviglia e la Traviata interpretata dal soprano Lina Pagliughi, “ospite gradita della nostra città”, un'artista di grande valore che già si è esibita nei più importanti teatri del mondo.
Qualche mese dopo i fratelli Pagliari ristrutturano e ammodernano l'impianto, trasformandolo in un cinema, che resterà attivo fino agli anni 80. Per renderlo funzionale alle nuove esigenze vengono demoliti gli storici palchetti, ma coloro che sono stati spettatori nel periodo d’oro del teatro Talia ancora oggi, a distanza di 60 anni, ricordano perfettamente quelle emozioni “vissute intensamente”.
Alcuni, chiamati ad ammirare il disegno acquerellato, nostalgicamente riscoprono, di primo acchito, il teatro perduto: Eros Donnini (Lo ricordo così!), Giuseppina Lacchi (Eccolo!), Giovanna Carini (E' lui!) e Rosita Baldassini (Perfetto!) che lo frequentava giovanissima al seguito della nonna Enrica Mancinelli.
Rosita, in particolare, ricorda aspetti non altrimenti documentati che suscitano interesse per un edificio che ha originato sensazioni di gioia in numerose generazioni.
Racconta che dall'ingresso centrale si accedeva tramite un breve disimpegno alla sala teatrale, costituita da una cavea sulla quale si affacciavano 38 palchi disposti su tre ordini, arredata di sedie in legno massiccio con sedile e schienale imbottiti con rivestimento in velluto rosso che, per le feste da ballo, erano rimosse e custodite nel giardino della famiglia Guerrieri.
Ai palchi del secondo ordine si saliva per una rampa di scale posta a destra dell'ingresso, mentre a quelli del piano superiore si accedeva per due rampe di scale poste a destra e sinistra dell'ordine stesso; dietro ogni ordine correva un corridoio isolato dai palchetti mediante porte a vento numerate.
Decorazioni dorate su fondo celestino con grottesche e chiaroscuri di argomento allegorico e teatrale erano abbellite dal damascato rosso che imbottiva i davanzali dei palchetti, internamente dipinti con “ampie righe beige e rosso mattone spento”.
Elemento cardine della sala teatrale era il lampadario appeso al soffitto, impreziosito da un dipinto di donna, probabile rappresentazione della musa Talia.
Un locale-cucina con fornelli consentiva di cuocere le vivande e di riscaldare un caldaio di caffè preparato e filtrato la vigilia degli spettacoli e delle feste da ballo, durante le quali il palco veniva utilizzato come piano bar per vivande e dolci portati dai ballerini, tutti in guanti bianchi, “anche se poveri”.
Nel bar, invece, situato in fondo alla scala d'ingresso, si vendevano fave abbrustolite, nocchie, caramelle e gazose con le palline.
Per ovviare alla ressa dei ballerini che accorrevano ai trattenimenti danzanti, gli organizzatori escogitavano l'originale e bizzarro espediente di dividere la piccola cavea a metà con una corda, autorizzando il ballo solo alla metà delle coppie.
Ricordi, immagini sfuggenti, avvenimenti sbiaditi nel tempo, oggi richiamati alla memoria perché la città ricostruisce il Teatro Talia nell'edificio dove era sorto.
Per un atto di amore avrebbe voluto realizzarlo nel rispettoso rigore della tradizione, ma le intenzioni della committenza sono state in parte disattese, perché il progetto non ha tenuto conto dei riferimenti tipologici e storici noti.
Nonostante ciò, l'intervento di ricostruzione è un atto concreto che restituirà ai gualdesi uno dei simboli della loro identità e alle generazioni future la memoria storica di un distrutto gioiello ottocentesco, che nel tempo saprà conquistare una sua originalità e una sua storicità, come già accaduto a tanti altri contenitori distrutti e ricostruiti.