Jeunesse (Gual)d'Esch
"E tu che giocatore sei? Non hai fatto neanche la Coppa dei Campioni".
Ibrahimovic a Immobile durante un diverbio?
No, Nazzareno Saltutti al fratello Nello.
A Gualdo Tadino pochi lo sanno, ma Nazzareno è stato il primo calciatore gualdese ad aver assaporato la più grande competizione calcistica europea.
Perlomeno fino alla parte finale di questo articolo.
Curiosi? Seguiteci.
Andremo prima in piazza Martiri e poi voleremo in Lussemburgo.
Incontriamo Nazzareno nella sua abitazione.
Dieci metri dal suo ex bar.
Lavoro e passione di una vita.
Non facciamo in tempo a entrare che è un fiume in piena. Il racconto è pura nostalgia.
Non del paese natìo, ma di quello dove era emigrato. Strano. Come la sua storia, rimasta racchiusa in casa, quasi a non voler disturbare Nello e la sua sfolgorante carriera.
"Sono partito per Esch sur Alzette nel 1951. Avevo 8 anni, Nello 4". La figura del fratello campione compare spesso nel suo racconto, ma non è ingombrante. Non lo è mai stata.
"Mio padre era già lì. Abitavamo nella zona che gli italiani chiamavamo 'la Ulla', storpiando il nome di Rue de la Hoehl. Frequentavo il bar Riganelli, che insieme al caffè Conti era il punto dove gli italiani si incontravano dopo il lavoro".
Nazzareno inizia a parlare della sua squadra, la Jeunesse d'Esch.
Le parole escono macchiate di emozione. "Era la squadra degli italiani, mentre la Fola, l'altro team di Esch, era quella dei ricchi. Loro facevano l'elastico tra serie A e B. Noi siamo stati sempre nella massima serie. Ho fatto tutta la trafila, dai Cadetti alla prima squadra. Sono stati gli anni più belli della mia vita".
Si alza e per andare nella stanza accanto.
Torna con due foto.
Di quelle seppiate dall'età e non dai fotoritocchi.
"Ecco – indica - questa è la Jeunesse. Il mio unico amore calcistico... a parte l'Inter ovviamente! (ride). Ho girato l'Europa col settore giovanile. Si facevano i tornei di Pasqua ad Amsterdam, ad Anversa.
A Philipsburg, in Germania, vincemmo la finale contro il Basilea con un mio gol.
Non mi chiedete come ho fatto, non lo so neanche io.
A 17 anni debuttai in prima squadra.
Fu contro il Dudelange.
Vincemmo 3-0 e la sera, lungo il corso di Esch, mi sentivo il calciatore più famoso del mondo.
La Coppa dei Campioni? Fui convocato per premio nelle trasferte di Lodz e in Finlandia. Di solito uscivamo al primo turno a testa alta, ma in quelle occasioni passammo noi".
Quello di Nazzareno era il calcio delle marcature a uomo e dei numeri fissi.
Il 3 era il terzino sinistro e marcava il 7, l'ala destra.
Sempre.
Quanto si guadagnava? "Il compenso era lo stesso per le vittorie e per le sconfitte: panini con i würstel e birra della sede sociale".
Ce ne sono di storie da raccontare di quel calcio fatto di povertà e passione.
Come quella di René Hoffman, giovane portiere della Jeunesse nella gara di Coppa Campioni persa 7-0 contro il più forte Real Madrid di tutti i tempi.
Dopo la gara, gli 80mila del Bernabeu lo applaudirono mentre i giocatori del Real lo portavano a spalla.
Dopo venti giorni arrivò, da Madrid, la convocazione per una provino col Real.
Hoffmann declinò! "Era un tipo schivo – ride Nazzareno - un mammone.
E così rifiutò l'occasione della vita.
Sono tornato ad Esch nel '92. Avevano invitato me e Nello per una partita delle vecchie glorie. Non ho giocato, ma è stato commovente.
Ero lì, in tribuna, quando fecero il mio nome dagli altoparlanti, come ex giocatore.
Fu un'emozione incredibile che non dimenticherò mai.
Anzi, se andate lì diteglielo: li ringrazierò in eterno".
Ci siamo andati.
Esch sur Alzette ci accoglie innevata e sferzata da un'aria gelida.
Sembra Gualdo.
Nella stagione '85/'86 la Jeunesse affrontò la Juventus in Coppa dei Campioni e in formazione aveva un figlio di Gualdo, Jean Pierre Barboni, che ora è di fronte a noi nel suo ufficio della Banque et Caisse d'Epargne de l'Etait, la banca di Stato.
L'italiano di Barboni è perfetto. "Mio padre era di Palazzo Mancinelli. Mia madre, di cognome Bordicchia, è originaria di Boschetto. Io sono nato qui e l'italiano l'ho imparato in casa. I miei genitori hanno avuto dal '62 all'86 uno dei bar storici della città, il caffè Conti. Io a 20 anni ho iniziato a lavorare in banca e dopo un periodo a Lussemburgo capitale, eccomi a Esch".
Anche Barboni, come Saltutti, è stato un fedelissimo della Jeunesse.
"Ho sempre giocato qui. Non ho mai cambiato, anche perché stavo bene e vincevamo i campionati. Non c'era motivo di andare via. A meno che non volevi guadagnare più soldi. Io ho scelto sempre e solo la Jeunesse".
Il Del Piero del Lussemburgo?
Si lascia andare a una risata, "Sì, ma lui ha guadagnato di più!".
Vincevate gli scudetti e poi c'era la Coppa.
"Questo era il lato più bello.
Quando non esisteva la formula Champions, c'erano i sorteggi con le teste di serie e si incontravano i più grandi club europei.
Noi abbiamo avuto, come avversari, team del calibro di Real Madrid e Liverpool.
Nel '75 giocai, a 17 anni, contro il Bayern di Beckenbauer e Rummenigge, che poi vinse la Coppa.
Poi nell '85 la Juventus di Platini.
Il ritorno a Torino si giocò a porte chiuse in un clima surreale.
Erano le prime partite della Juve in Europa dopo la tragedia dell'Heysel".
Continua Jean Pierre. "Presi la cittadinanza lussemburghese, così fui convocato in Nazionale. Ho disputato gare contro grandi squadre come Italia, Inghilterra e Olanda.
A 32 anni ho deciso di smettere e sono entrato nella dirigenza del club.
Dal '92 ho fatto l'allenatore e nel '96, quando morì il presidente, ne assunsi la carica.
Nel 2006 ho lasciato il calcio per motivi di lavoro, dato che fare il presidente richiedeva tanto tempo.
I miei figli? Ho una femmina e un maschio che pratica il judo con ottimi risultati anche a livello internazionale. Forse è meglio così: di judo non capisco niente ed evito i problemi. Continuo a seguire la Jeunesse. L'appun-tamento allo stadio è pressoché fisso".
E Gualdo? "Sono tre o quattro anni che non torno, anche perché abbiamo venduto la casa di Palazzo Mancinelli e mio padre aveva un solo fratello che ora abita a Frascati.
Mia madre invece ha dei cugini a Boschetto".
Jean Pierre Barboni è una persona molto nota a Esch e anche a Gualdo Tadino. Molti ricordano di aver seguito le gare di Coppa contro la Juve e l'amichevole contro l'Italia perché giocava "uno di Gualdo".
C'era una volta però "uno di Gualdo", che nella Jeunesse ha preceduto Saltutti e Barboni.
C'era una volta il più grande Real Madrid della storia.
C'era una volta una delle tante favole della piccola Jeunesse, che nel '59 si trovò al Santiago Bernabeu a sfidare gente come Di Stefano e Puskas al cospetto di 80mila spettatori.
C'era una volta il capitano di quella squadra.
Si chiama René Pascucci. Uno di Gualdo.
Indirizzo scovato su internet.
Telefonata.
Una voce sorpresa ci dà appuntamento nel tardo pomeriggio.
Un freddo boia, un piazzale innevato. Il civico 32 illuminato.
Ci apre la figlia, dietro ecco Pascucci, classe 1926, che ci saluta sorridente con un "Ma come mi avete trovato?"
Pascucci è originario di Rigali e tornava spesso a Gualdo a trovare i parenti.
Ci racconta che l'ultima volta in Italia è stato pochi anni fa, con un pullman turistico.
"Avrei voluto chiedere all'autista di fermarsi a Gualdo, eravamo vicini, ma non ne ho avuto il coraggio".
Sembra sorpreso dalla presenza di un giornale italiano a casa sua, ma ha voglia di raccontare.
Forse non lo fa da tempo.
Il suo italiano è fluente, la memoria di ferro.
Per prima cosa ci fa salire al piano di sopra. Una stanza normale, come l'abbiamo tutti.
Però una gigantografia con due squadre dove ci sei tu, di fianco Puskas, Gento e sopra di te Di Stefano in una partita ufficiale è roba per pochi eletti.
"Puskas e Gento acconsentirono subito a fare la foto con le due squadre mescolate. Di Stefano era più... divo e non voleva né la foto, né lo scambio di maglia.
Vedete?
Qui è in tuta e con un'espressione non proprio contenta.
Cosa ricordo di quella partita? Tutto, specialmente il viaggio in aereo, quando una tempesta ci fece ricorrere... a un prete che era a bordo con noi".
Anche per Pascucci, come per Saltutti e Barboni, la Jeunesse è stato il primo e ultimo amore.
"Ci ho giocato dal '39 al '61 e non ho mai preso un'ammonizione".
Un altro ricordo.
"Nel ritorno in casa contro il Real, in vari episodi protestai con l'arbitro in italiano.
Era anche lui italiano.
Non servì a niente.
La perdemmo 5-2 quella partita andando per due volte in vantaggio, ma è stata un'esperienza che mi ha accompagnato per tutta la vita".
La Jeunesse la storia l'ha già scritta.
La Jeunesse è leggenda vera.
Con dentro un pezzo di Gualdo.