Europa, Gualdo
L'Istituto Superiore Casimiri ha ospitato il progetto “Back to school”. Si tratta di un'iniziativa dell'Unione Europea volta a sensibilizzare gli studenti sui temi legati all'Europa. A tenere questo incontro è stato un funzionario europeo che, come prevede il progetto, è tornato per un giorno nella scuola secondaria secondaria superiore che ha frequentato.
Il “volto” dell'Europa per il “Casimiri” è stato quello di Sara Anderlini, da diversi anni funzionaria Ue a Bruxelles. Un modo per sedersi nuovamente sui vecchi banchi di scuola, ma anche per illustrare agli studenti i motivi della sua scelta professionale, delle sfide e delle opportunità che comporta il vivere e lavorare fuori dall'Italia. E un modo per far conoscere l'Ue e per aprire nuovi orizzonti ai ragazzi.
Non è molto frequente, in Italia e specialmente dalle nostre parti, che un ventenne lasci la propria famiglia per tentare un'avventura lavorativa o universitaria lontano da casa. Non lo era venti anni fa e lo è poco anche oggi. Quando nasce il tuo desiderio di uscire da quella che gli psicologi definiscono come la “zona di comfort”, cioè di esporti a situazioni nuove?
Sono nata e cresciuta a Gualdo, e vi ho abitato fino ai miei 18 anni. Dopo aver frequentato l'Istituto Raffaele Casimiri, che all'epoca aveva solamente il Liceo Scientifico, quando si è trattato di scegliere l'università ho deciso di non immatricolarmi a Perugia al contrario della maggior parte dei miei amici. Scelsi di frequentare un ateneo un po' più lontano, a Pisa. Il motivo ufficiale è che avevo tentato l'esame di ammissione alla Scuola Normale Superiore. Non fui scelta, ma rimasi comunque molto colpita dall'alto livello di insegnamento che vidi. Avevo scelto di studiare Filosofia, un corso di laurea sicuramente appassionante, ma anche un po' “debole” sotto il profilo delle possibilità lavorative; per cui pensai che tanto valeva fare un sacrificio in più e puntare fin da subito all'eccellenza. A Pisa insegnava gente del calibro di Remo Bodei e Aldo Giorgio Gargani, per cui decisi che avrei studiato lì, anche se ero cosciente che ciò voleva dire allontanarsi dalla famiglia e dalla maggior parte dei miei amici di allora.
Il ricordo più bello di quel periodo?
Paradossalmente sono proprio i dodici mesi che non trascorsi a Pisa. Infatti, nel settembre del 1995 (quindi vent'anni fa esatti) feci domanda per una borsa Erasmus e andai a studiare per un anno accademico all'Università di Colonia, in Germania. Fu un'esperienza meravigliosa ed eccitante, anche perché eravamo ancora agli albori di questa iniziativa europea. Adesso vedo che è tutto molto organizzato. All'epoca, invece, era ancora tutto da inventare: ci sentivamo dei pionieri. Mi imbarcai in questa avventura con una conoscenza davvero minima del tedesco e partii a bordo del camper di mio padre dormendo per qualche giorno vicino all'Università, in attesa di trovare casa tramite gli annunci sulle bacheche della facoltà. Adesso una cosa del genere sarebbe impensabile! Però secondo me è proprio attraverso queste esperienze che si inizia a capire davvero cosa si vuole dalla vita; io ad esempio ho cominciato proprio in quell'occasione a sviluppare il mio interesse verso l'Europa.
Quanto è importante confrontarsi con altre realtà?
Il contatto con gente di lingua e cultura diverse è fondamentale per acquisire quella prospettiva globale che di questi tempi non rappresenta più un lusso, ma una condizione di vita. Va detto, però, che per allargare il proprio sguardo non basta andare in vacanza a Ibiza o fare il solito corso di lingue di due settimane a Londra: bisogna confrontarsi con la realtà quotidiana di un Paese estero, viverci, imparare ad esempio come si fa la raccolta differenziata o si paga una bolletta. E prima si inizia, meglio è. Per questo consiglio a tutti gli studenti universitari di includere un'esperienza Erasmus nel loro curriculum. Si devono affrontare dei disagi, certo, ma si impara a cavarsela da soli. E in tutti questi anni non ho mai incontrato una persona pentita di aver fatto un'esperienza del genere.
Come nasce la tua passione per la pubblica amministrazione?
Quando sono tornata in Italia e mi sono laureata avevo già capito che la carriera accademica non era la mia strada, quindi mi sono trasferita a Bologna con l'intenzione di lavorare nell'editoria e della comunicazione. Ho frequentato un corso post-laurea per diventare redattore editoriale e ho lavorato come editor in un paio di case editrici, tra cui la Zanichelli Editore. Poi, all'inizio degli anni duemila, ho frequentato un altro master e sono diventata addetta stampa. Ho lavorato prima in alcuni teatri e istituzioni culturali dell'Emilia Romagna, poi sono tornata in Umbria per lavorare con Coop Centro Italia. Lì sono rimasta poco più di due anni, che sono stati sufficienti a farmi comprendere una cosa fondamentale della mia vita lavorativa: non mi piaceva, né mi interessava assolutamente, vendere prodotti. Che si trattasse di uno spettacolo teatrale o di una scatoletta di tonno, la sostanza non cambiava. Non volevo persuadere la gente ad acquistare un prodotto, ma mettermi al servizio della collettività e dei cittadini. Per cui nel 2005 mi sono licenziata, sono tornata a Bologna e ho iniziato a fare concorsi pubblici. La pubblica amministrazione, che tanta gente continua ancora a vedere come nient'altro che un ripiego o una sorta di parcheggio lavorativo, per me è stata un'occasione incredibile di crescita che continua ancora adesso.
Ho lavorato in vari Comuni prima in Emilia Romagna e poi nel milanese. Al Comune di Milano mi occupavo della scelta e del finanziamento di progetti pilota in collaborazione con le università lombarde: un lavoro interessantissimo che mi ha permesso di entrare in diretto contatto con le eccellenze nell'ambito dell'innovazione in Italia.
Come sei approdata a Bruxelles?
Non ho mai smesso di interessarmi all'Ue e di tentare i concorsi per diventare funzionario europeo. Si tratta di selezioni durissime, dove la competizione è davvero alta ma, come spesso accade nella vita, proprio quando stavo per perdere le speranze sono stata chiamata a Bruxelles per un colloquio. E' andato bene e dal 2013 lavoro alla Direzione Generale CNECT della Commissione Europea che sta per “Communications Networks, Content & Technology”. Ci occupiamo di promuovere l'innovazione, la creatività, la cultura, di rendere sempre più competitivo il mercato della ricerca e di fare in modo che le tecnologie digitali siamo accessibili a tutti i cittadini europei in egual misura. In particolare gestiamo famosa la Digital Agenda, l'agenda digitale, che mira a far ottenere ai cittadini e alle imprese il massimo dalle tecnologie digitali, con l'obiettivo di riavviare l'economia dell'Ue. La mia Unitá in particolare si occupa di tutto ciò che è legato all'innovazione. Abbiamo contatti quotidiani con tutte le aziende europee che sono considerate all'avanguardia. Va da sé che moltissime di loro sono start-up, e questo rende il mio lavoro particolarmente stimolante, perché si lavora a contatto con menti giovani e nuove idee, e questo direi che smentisce in pieno lo stereotipo di una Europa statica e “vecchia”.
Oggi l'Unione Europea non gode di una particolare simpatia presso l'opinione pubblica. Come te lo spieghi?
Molta gente continua a vedere le istituzioni dell'Ue come organismi mastodontici che impongono solamente la propria burocrazia da lontano. In realtà la maggior parte delle nostre opportunità di vita e di lavoro, e se vogliamo dei nostri “privilegi” come cittadini europei, li dobbiamo proprio all'esistenza dell'Unione. Dal roaming alla tutela dei consumatori, dalla protezione dell'ambiente alla libera circolazione delle persone e delle merci, tutto si deve alle leggi dell'Unione Europea. E soprattutto bisogna ricordare che la quasi totalità dei progetti che riguardano la ricerca e lo sviluppo viene finanziata da fondi europei. Anche se dilaga un pessimismo generale nei confronti dell'Ue, secondo me non dobbiamo mai dimenticare che il nostro futuro di cittadini dipende da quello dell'Unione Europea. Per questo l'Europa ci riguarda in prima persona.
E' questo l'obiettivo di “Back to School”?
Sì, è un progetto che ha ormai quasi dieci anni di vita. Prevede che noi funzionari europei torniamo nelle scuole che abbiamo frequentato da ragazzi per spiegare agli studenti di oggi che cosa è l'Ue, cosa fa e in cosa consiste il nostro lavoro. Io sono tornata nel mio vecchio liceo dopo la bellezza di 23 anni ed ero davvero emozionata e curiosa di conoscere le “nuove leve” gualdesi. Il mio augurio è che prendano coscienza di quanto l'Europa faccia parte delle loro vite e di quanto il loro ruolo di giovani cittadini europei sia essenziale al nostro futuro. E, inutile nasconderlo, spero che magari in qualcuno di loro nasca il desiderio di una carriera nell'Ue, perché no? Il futuro arriva, se si costruisce.