Ligabue e Ghizzardi, elogio della follia
Due artisti selvaggi e primitivi, straordinari protagonisti della seconda metà del Novecento che a Gualdo Tadino saranno messi a confronto. Due follie che nascondono altrettante genialità, mostrate attraverso linguaggi pittorici unici e forse irripetibili.
E una “lucida follia” è quella che ha guidato Catia Monacelli, il Polo Museale e l'ammini-strazione comunale nel pensare di portare nella nostra città le opere di Antonio Ligabue e Pietro Ghizzardi racchiuse in un'unica mostra. Hanno fatto propria la celebre frase di Albert Einstein (“solo quelli che sono così folli da pensare di cambiare il mondo, lo cambiano davvero”), riuscendo nell'intento grazie al supporto di Vittorio Sgarbi e al sostegno di diversi soggetti, tra enti e sponsor, che hanno permesso che il tutto si concretizzasse, dando vita a una delle più importanti iniziative culturali del 2016 di tutta l'Umbria.
“Ecco dunque Antonio Ligabue e Pietro Ghizzardi che raccontano insieme se stessi e la loro vicenda individuale, illustrano il loro personalissimo mondo creativo, ma anche proprio perché unici nel loro genere, ma contemporanei sia nel limite ristretto di una topografia padana di pianura inventata e riscritta dal lavoro dell'uomo e nello stesso periodo storico.
Entrambi hanno conosciuto la marginalità sociale, le difficoltà dell'esclusione e della povertà, la modestia di una formazione e di un bagaglio culturale che li obbligava a cercare in se stessi i motivi per un'iconografia che ricostruisse il loro mondo fantastico, permettesse loro di comunicare con gli altri, raccontassero le emozioni più profonde ed autentiche” (Gazzetta di Reggio)
“All'immaginazione febbricitante di Antonio Ligabue (nato il 18 dicembre 1899 a Zurigo e cresciuto a Reggio Emilia dove è stato ripetutamente internato per “psicosi maniaco-depressiva”) e di Pietro Ghizzardi (nato il 20 luglio 1906, mantovano di origine) “Due fervide anomalie” – coesistono nello spazio padano rimanendo parimenti estranei alla tradizione figurativa del Novecento italiano – hanno messo a nudo la vita autentica, la verità umana quand'anche drammatica. Pittore, il primo, di un mondo lussureggiante popolato da belve – tigri mai viste e immaginate – che si sbranano con la ferocia di un conflitto tutto umano. Interprete, il secondo, del voluttuoso animo di donne che compongono una galleria sterminata di ritratti. Prepotenti ed erotici, i busti femminili ci parlano di un desiderio e di un'ossessione” (Artslife)
“Le donne di Ghizzardi e le belve di Ligabue hanno come “unici” modelli quelli che furono i loro sogni, le loro fantasie o i loro fantasmi, e questi hanno come unica ragione di esistere di suscitare i sogni, le fantasie e i fantasmi di colui che li guarda. Perché essi sono incomparabili e singolari, perché le loro opere sono incomparabili e singolari. Qualità essenziali grazie alle quali riescono a sfuggire le deviazioni, le strade senza uscita, i vicoli ciechi del labirinto della storia dell'arte. Salvo che, se si riesce a schivarne le insidie, si finisce per capire che l'unica regola dell'arte è l'eccezione.” (Tratto da “Percorso nel labirinto dell'arte alla scoperta di Ligabue e Ghizzardi” di Pascal Bonafoux)
L'anello di congiunzione tra Ligabue e Ghizzardi è l'essere entrambi artisti autodidatti, fuori dagli schemi accademici dell'arte del Novecento, artisti selvaggi e primitivi, diseredati ed emarginati, dotati di una “folle genialità”, attraverso la quale hanno saputo elevarsi umanamente e artisticamente lasciando nelle loro opere significativa testimonianza del loro vissuto. Entrambi hanno concepito la loro arte come un importante e indispensabile strumento per fissare passioni travolgenti e inquietudini della mente; dalle loro opere esala il profumo della vita vera, cruda e reale, rendendoli così straordinariamente contemporanei e attuali.
L'esperienza artistica dei due Maestri padani si intreccia con le sofferenze e le difficoltà della vita quotidiana: l'arte diventa esigenza necessaria per inserirsi nel tessuto sociale e raggiungere un riconoscimento umano e intellettuale (Artribune)
Conclusione lasciata a Vittorio Sgarbi: “Questi folli hanno trovato la libertà della creatività. La follia diventa liberazione della bellezza.”