La rivolta delle donne

Scritto da Sergio Ponti. Postato in Storie

 

La fine della “grande guerra” non porta i frutti attesi ed il groviglio di tensioni sociali e ideali è accentuato dal diffondersi di una grave crisi economica: a Gualdo Tadino schiere di operai chiedono lavoro per sostentarsi e le esigue risorse del bilancio comunale non sono sufficienti a garantire il fabbisogno della popolazione.

Per di più il consumo irrazionale di alcuni generi alimentari origina il sospetto di indebiti acquisti per conto di terze persone: circostanza che favorisce l'istituzione di un magazzino comunale e la nomina di un Commissario per i Consumi, che non produce effetti, se non quello di facilitare l'aumento dei prezzi di settimana in settimana.

Per arginare la straripante crisi alimentare, l'amministrazione civica interviene con la politica dei calmieri per il timore di una sollevazione di piazza, perché la popolazione affamata chiede la distribuzione di tutti i cereali in natura.

Il Comune chiude l'esercizio del 1918 con un pesante disavanzo di 17.705,15 lire e la giunta, presieduta dal sindaco Celestino Colini, è in evidente difficoltà. Per il continuo aumento della spesa pubblica, l’esecutivo è costretto, tra il 23 febbraio ed il 29 giugno 1919, a inasprire le tasse sui terreni e sui fabbricati, sulla macellazione, sul focatico, sul commercio e sul bestiame. Per soddisfare l'obbligo imposto dal decreto legge 9/3/1919 di corrispondere agli impiegati il caro-viveri, che costituisce un maggiore onere di 16 mila lire, dispone l'aumento della tassa di famiglia e istituisce quella sui cani. Complessivamente il gettito di esercizio raddoppia arrivando a 86 mila lire.

In consiglio comunale c'è tensione per le dimissioni del consigliere Luigi Pascucci e per gli attacchi di Pietro Panunzi, che contesta apertamente l'operato della giunta e del commissario prefettizio degli approvvigionamenti e dei consumi di Gualdo Tadino, di cui chiede la surroga.

Quando la Commissione Annonaria Comunale, “animata da spirito di conciliazione”, ordina che dal 27 luglio 1919 la vendita dei generi, elencati in un manifesto a stampa della tipografia Panunzi, non può essere fatta a prezzi superiori da quelli indicati, la manifestazione di opposizione è energica e ferma, poiché quelli imposti dal nuovo calmiere, compilato sul modello di quello di Foligno, sono stati aumentati.foto3

Secondo il Commissario prefettizio ai consumi, le variazioni apportate hanno tenuto conto delle disposizioni governative, secondo cui i prezzi non possono essere inferiori al costo di produzione.

A Gualdo Tadino molte voci non risultavano corrispondenti alla normativa nazionale e l’aumento era obbligato, ma ciò scatena le ire della folla che, abituata con il primo calmiere, nel pomeriggio del 28 luglio 1919 dà sfogo alla propria rabbia.

Protagoniste e istigatrici della ribellione sono tutte donne, costrette a lottare per il cosiddetto “pezzo di pane”: Maria Angeletti (46 anni), Maria Donnini (32 anni), Rosa Carotti (44 anni), Angela Baldassini (48 anni), Fermina Morroni (46 anni), Cerbina Ballerini (29 anni) e Guglielmina Barberini (31 anni).

Armate di bastoni e inferocite, le donne passano di casa in casa, nei vari opifici, nella fabbrica di mattonelle e in quella di fiammiferi, per invitare le casalinghe e le operaie a riunirsi alle ore 16 nella piazza del mercato per una protesta contro la pubblica autorità, rea di aver aumentato il prezzo massimo di vendita di alcuni generi.

All'appello rispondono 400 donne, che raggiungono piazza Vittorio Emanuele (l’attuale piazza Martiri) dove sono attese da altre 600 persone.

Una delegazione composta da Antonia Paoletti, Elisa Pellegrini e Teresa Gammaitoni è ricevuta dal maresciallo e dal segretario comunale per conoscere i motivi all'origine della sollevazione popolare contro il governo cittadino. Dopo aver negoziato la riduzione del prezzo dei fagiolini, dei pomodori e del vino, la commissione raggiunge la piazza per informare i dimostranti sui termini dell'accordo.

Il risultato ottenuto però non soddisfa i manifestanti che a quel punto si dividono in gruppi, inveendo contro i commercianti.

La folla tenta quindi di occupare gli uffici del Commissariato dei consumi, situati in via del Corso, e poi si dirige verso la Commissione di Requisizione dei Cereali, le cui finestre degli uffici di Palazzo Cajani vengono colpite da numerose pietre.

La situazione è ormai fuori controllo e i manifestanti, con in testa le 400 donne, proseguono per via Monina  scagliandosi contro il negozio di tessuti di Angelo Travaglia. Vengono infrante le vetrate della bottega e dell’abitazione e alcuni tentano anche di penetrare all'interno dell’esercizio commerciale per saccheggiarlo. Solo l’intervento della forza pubblica riesce a evitare lo sfondamento, ma i manifestanti non desistono.  La guerriglia urbana torna in via del Corso dove una sassaiola manda in frantumi i vetri dei negozi e delle finestre di casa dei fratelli Pavoni, Asnuldo Brambilla, Angelo Boccolini e quelli delle abitazioni dei fratelli Depretis, dei fratelli Ribacchi, Romolo Garofoli, Enrico Ceccarelli e dell'avvocato Giulio Guerrieri. Dopo essere tornati una seconda volta presso i negozi di tessuti di Travaglia e Pavoni, i dimostranti si dirigono in piazza Garibaldi con l'intento di devastare il caffè di Antonio Angeli.  Vista la mal parata, la moglie Anna aveva pensato bene di chiudere l'esercizio, ma questa iniziativa non fa che indispettire ulteriormente la folla, che tenta di distruggere i globi esterni di illuminazione.

Ubaldo Cancellotti, suocero del proprietario, viene anche alle mani con alcuni dimostranti, rimanendo ferito da un colpo di pietra, così come un carabiniere.

Al termine della manifestazione sono tratte in arresto 19 persone, 32 denunciate a piede libero, raccolte 125 testimonianze e valutati i danni in 1.440 lire.

I fatti narrati, ricostruiti sulla base del rapporto del comandante della stazione dei carabinieri, meriterebbero ben altro approfondimento, se non altro per sviscerare i reali motivi che hanno originato un tumulto che ha coinvolto centinaia di donne, pronte a reclamare contro l'aumento dei prezzi di fagiolini, pomodori e vino (!), poi diminuiti con il calmiere del 31 luglio.

Dalle dichiarazioni dei protagonisti della vicenda emerge tutto e il contrario di tutto. Dal pretesto che maschera i reali motivi di una manifestazione clamorosa e violenta delle componenti più povere della popolazione, fomentata da persone rimaste nell'ombra, ad un calmiere che fa emergere vecchi rancori, odii covati da tempo, sfoghi personali e di classe.

La cosa certa è che all’epoca, da vario tempo, a Gualdo Tadino serpeggiava un certo malumore e appare evidente la volontà della classe operaia di legarsi in qualche modo ai moti popolari del giugno 1919 divampati a causa del caroviveri in alcune città della Liguria, della Toscana e della Romagna.

I disordini di piazza sembrano richiamare l'idea di una rivoluzione sociale ormai alle porte, fiancheggiata, probabilmente, dalla locale Camera del lavoro che, in apparenza, assiste passivamente.

Le carte ingiallite dal tempo delineano comunque, pur senza confermarlo, che anche a Gualdo Tadino è in atto un duro scontro politico-sociale tra la massa operaia e contadina, da un lato, e il padronato e la piccola borghesia, dall'altro, sempre più determinati nel difendere i propri interessi.

Dissenso aspro e violento che sfocia in quel turbine di donne, di voci, di grida e di proteste portate per le strade e le piazze di un piccolo centro dell'Italia del 1919, che esalta un moto popolare e una porzione significativa dei protagonisti di quegli eventi.

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