Kansas, un viaggio alla rovescia
Il piccolo cimitero St. John di Jessup - Pennsylvania è un prato in discesa che guarda una graziosa vallata. In un'ipotetica classificazione della qualità degli alberghi del riposo eterno, questo di Jessup sarebbe un quattro stelle: baciato dal sole del mattino e con una discreta veduta di una parte della contea di Lackawanna.
La quinta stella potrebbe spettargli di diritto per il fatto di essere rivolto ad Est, perché Est vuol dire Italia e per la maggior parte degli “abitanti” del cimitero di Jessup, Italia vuol dire casa.
Tra i viaggi più belli che un uomo può compiere, un posto d'onore è senza dubbio riservato a quelli alla scoperta delle proprie radici.
E' il primo pomeriggio del quattro maggio duemilaotto, quando nel piccolo cimitero di Jessup sta per arrivare il secondo momento magico di uno di questi viaggi. Il primo era stato quello di aver conosciuto Sam Parri, figlio di emigranti gualdesi di inizio '900. Nato negli Stati Uniti e mai uscito dai suoi confini, poche frasi in italiano, ma quelle poche… in stretto dialetto gualdese. “Hae magnato bene?”, oppure “Stamatina (con una 't') so gito via from my house che ereno le dieci. C'ho messo du' ore co la machina (con una 'c') to come here per venitte a trovà”. Pochi frammenti tra uno slang quasi incomprensibile, ma frammenti che mettono i brividi e con cui si ricostruisce una vita. La sua.
Sam non l'ha mai vista l'Italia e mai la vedrà, ma è cresciuto in mezzo ai “gemo” della madre gualdese arrivata negli Stati Uniti da piccola seguendo il nonno di Sam, ne conosce i sapori, gli odori e un po' di gualdese ascoltato in casa.
E' la storia degli italoamericani che popolano questa zona della Pennsylvania orientale. La storia di una delle tante famiglie nate qui dal nulla, perché partite con il nulla, se non la speranza di trovare un lavoro che potesse sostenere le famiglie lasciate in Italia. Sam è una di quelle storie. Anche Tommaso, suo nonno, è una di quelle storie.
Tommaso è uno di quelli che hanno sognato durante un viaggio rimasto per sempre il più lungo della loro vita, scavando le miniere della Pennsylvania, mentre le miniere della Pennsylvania scavavano i suoi polmoni.
Uno di quelli che hanno contribuito alla crescita di un Paese la cui storia è fatta del sudore e dei polmoni svuotati di questi suoi figli adottivi. Uno di quelli che “aspettavamo braccia, sono arrivati uomini”.
Tommaso è una delle storie del cimitero di Jessup-Pennsylvania, dove l'unica cosa di diverso dal grande cimitero di Gualdo Tadino-Italia è che qui riposano tutti sottoterra invece che nelle villette multifamiliari del nostro camposanto. Per il resto i cognomi sono gli stessi.
Tommaso è qui.
La pietra è semplice, come tutte le altre, ma due particolarità ce le ha: è scritta in italiano, con il nome in gualdese: Tomasso anziché Tommaso. La famiglia, lo stesso Tommaso, chissà, volle scolpire le parole 'nato' e 'morto' e non 'born' e 'died' come nelle altre tombe. Orgoglio italiano. In un periodo un cui gli italiani erano chiamati 'dago', che voleva dire accoltellatore, cioè malvivente, cioè da evitare.
La storia di Sam, Tommaso e del viaggio in Pennsylvania si incrocia con quella di Steve, che viene dal Kansas, che ha fatto lo stesso tipo di viaggio che vi abbiamo brevemente raccontato, ma alla rovescia.
Non c'è solo la Pennsylvania nella storia dell'emigrazione gualdese, ma anche quello che gli americani chiamano il “Sunflower State” e le cui miniere di carbone erano lontanissime da quelle di Scranton, ma i polmoni te li scavavano con la stessa tenacia.
Forse molti non lo sapranno, ma anche Kansas City vide arrivare molti italiani alla fine del 1800, all'inizio del 1900 e poi dopo la Seconda Guerra Mondiale. Gente che arrivò per lavorare nel settore dell'imballaggio della carne e nel settore ferroviario.
Nella parte sud-est dello Stato invece, in posti come Pittsburg, arrivarono tanti gualdesi a lavorare nelle numerose miniere di carbone. Sempre loro, le “mines”, nel destino dei nostri concittadini e non: le compagnie che le gestivano andarono in tutta Europa, soprattutto in quella meridionale e orientale, a cercare lavoratori. Non è esagerato dire che interi villaggi furono praticamente svuotati e trasportati in Kansas.
Tanti gualdesi quindi, spesso dimenticati rispetto a quelli della Pennsylvania.
Perché se mantenere i contatti con lo Stato dell'Indipendenza era difficile, figuriamoci con questo pezzo lontanissimo di America, famoso per le grandi pianure e il Mago di Oz, dove dalle miniere usciva un carbone più povero rispetto all'antracite della Lackawanna County.
Steve è il nipote di emigranti gualdesi giunti in quello stato all'inizio del secolo.
Nasce e cresce nel mezzo della provincia americana, al confine tra Kansas, Missouri e Oklahoma, ma con il mito italiano in casa, anche se i suoi genitori fanno la scelta di tanti: divieto di parlare l'italiano.
Scelta dolorosa, ma con un fine non da poco: integrazione totale e il più possibile indolore. L'italiano si può parlare solo tra adulti.
Per Steve è però inevitabile crescere con la parola “Gualdo” nelle orecchie, pronunciata un giorno sì e l'altro pure dal nonno Alfonso Passeri, oltre che nutrirsi della cucina italiano-gualdese della nonna Elisa Anderlini. Ambedue di Caprara.
Steve cresce con il sogno di conoscere da vicino le proprie origini, di conoscere il suo Sam Parri, ma in Italia. Lo stesso viaggio di prima, ma alla rovescia.
Arriva internet, Steve sbircia online l'elenco telefonico di Gualdo Tadino e si diverte a vedere che ci sono gli stessi identici cognomi scritti su molte lapidi del cimitero di Frontenac, periferia nord di Pittsburg, dove abita.
Non resiste e nel 2009 infila un messaggio in bottiglia gettandolo nell'oceano dei social. Ci sono foto, pezzi della sua storia e tante domande. Vuole capire da dove viene, chi sono i gualdesi e come è fatta Gualdo. La bottiglia viene raccolta.
Il sogno diventa realtà. Lui e Gualdo si incontrano per la prima volta in un caldo pomeriggio di giugno ed è amore a prima vista. A Steve lì per lì gira la testa: non aveva mai visto un monumento più vecchio di duecento anni e ora si trova in un Paese che i monumenti più giovani di duecento anni quasi neanche li considera.
La cosa gigantesca, magica, visibile è stata la riconnessione con il proprio passato. Avete presente una spina che viene inserita nella presa e un circuito comincia a funzionare? Uguale. E' stato come se nella sua vita tutte le connessioni siano state ricollegate. E le risposte sono arrivate. A fiumi.
E' stato a Serrasanta, seduto nel prato sotto l'eremo, che Steve ha capito da dove viene tutto l'amore e la passione che nutre per la storia. “Sono passati i Romani laggiù, vero?”. “Sì, Steve. Sono passati i Romani. Proprio laggiù, nella vallata”.
“I don't believe to be here. I don't believe”.
Steve si è specchiato nel riflesso delle nostre ceramiche, ha assaporato la barbozza, si è lasciato rapire dall'atmosfera della Rocca Flea e si è riconosciuto nei tanti nonni le cui storie sono raccontate dal Museo dell'Emigrazione.
Ha visto la casa natìa di nonno Alfonso, quel nonno che li faceva salire sulle gambe raccontandogli le storie vissute in quella casa, di quel paese così bello e lontano.
Il viaggio è costato tanto, ma Steve è tornato in Kansas ricchissimo e ha raccontato agli italiani di Pittsburg che le loro radici esistono veramente e non sono solo nei racconti dei loro genitori. Vere e proprie favole reali e vissute.
A Frontenac, periferia nord di Pittsburg, c'è una grande festa italiana. Si chiama semplicemente “Festa Italiana” e si svolge la fine di settembre. Sì, proprio così: l'ultima settimana di settembre, perché spesso il caso gioca e si diverte.
Questo evento potrebbe essere l'occasione per farne un terzo di viaggio, quello che riavvicinerebbe l'Italia, Gualdo Tadino a questa terra quasi dimenticata dove pian piano i ricordi e le favole vere di quei nonni stanno cadendo nell'oblìo.
Sarebbe un peccato cancellare definitivamente un pezzo della nostra storia che è importante come quella del Lussemburgo, della Francia, della Germania, del Belgio e della Pennsylvania, quando gli emigranti eravamo noi.
Quando i viaggi si facevano solo al diritto, perché di farli a rovescio non ce n'erano le possibilità.